01 Mar La responsabilità dell’amministratore per le scelte inopportune
Nell’ambito del giudizio istaurato per accertare la responsabilità degli amministratori della società fallita, occorre considerare che non è ravvisabile ogniqualvolta si contesta ai medesimi amministratori la discrezionalità delle scelte adottate. Una sentenza del Tribunale di Roma (15.01.2018, n. 999) ha chiarito gli ambiti della questione, stabilendo che all’amministratore di una società non può essere imputato a titolo di responsabilità ex art. 2392 C.C. di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, visto che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può, pertanto, rilevare eventualmente come giusta causa di revoca dell’amministratore, non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società. Ne consegue, prosegue il Tribunale, che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato “non può mai investire le scelte di gestione, o le modalità e circostanze di tali scelte, ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità” (Cassazione civile, sez. I, 28.04.1997, n. 3652).
A mente della citata sentenza, la valutazione sulla responsabilità giuridica dell’amministratore non attiene al merito delle scelte imprenditoriali da lui compiute. La sua responsabilità giuridica ben può discendere, però, dal rilievo che le modalità stesse del suo agire denotano la mancata adozione di quelle cautele o la non osservanza di quei canoni di comportamento che il dovere di diligente gestione ragionevolmente impone, secondo il metro della normale professionalità, a chi è preposto a un tal genere di impresa, e il cui difetto diviene perciò apprezzabile in termini di inesatto adempimento delle obbligazioni su di lui gravanti. Occorre considerare che il criterio della diligenza è espressione del fondamentale dovere di correttezza e buona fede richiamato in termini generali dagli artt. 1175 e 1375 C.C. Nel caso degli amministratori di società, come in tutti i casi di gestione di interessi altrui, tale dovere assume ancor più che altrove i caratteri del dovere di protezione dell’altrui sfera giuridica: il dovere di prendersi cura dell’interesse di chi ha incaricato il gestore dell’amministrazione delle proprie attività e per ciò stesso, lo ha investito di un compito con indubbie connotazioni fiduciarie (così, in motivazione, Cassazione civile sez. I, sent. 24.08.2004, n. 16707).
Conclude il Tribunale affermando che l’attività degli amministratori, traducendosi nella gestione di un’impresa commerciale cui è connaturato il carattere professionale dell’esercizio di un’attività economica organizzata (art. 2082 C.C.), assume i connotati della professionalità che naturalmente si riverberano anche sul parametro della diligenza. A fronte di tali considerazioni, il Tribunale romano ha rigettato la domanda promossa dal fallimento nei confronti di due ex amministratori della società fallita, ritenendo infondata l’asserita responsabilità per il dissesto della società in ragione di scelte imprenditoriali rivelatesi, ex post, dannose per la società.